GLI ALPINI DI MAROSTICA NELLA STORIA D’ITALIA
Sunto della conferenza tenuta da Paolo Volpato presso Palazzo Baggio di Marostica, l’8 settembre 2023.
È una storia lunga 151 anni quella del Corpo degli Alpini, ed è altrettanto lunga quella degli Alpini di Marostica.
Tutto nasce a Napoli, il 15 ottobre 1872, con la firma di Re Vittorio Emanuele II apposta sul Regio Decreto che istituisce 15 Compagnie di Alpini con il compito di assicurare la difesa delle vallate di frontiera italiane e i rispettivi valichi sulle Alpi.
Il 1° aprile 1875 si registra la formazione del 6° Battaglione, che ha sede a Verona presso la Caserma Pallone, che poi con Regio Decreto 5 ottobre 1882 diventa 6° Reggimento Alpini. Il reparto recluta i suoi soldati anche nel vicentino e ha sede a Conegliano: è questo il “nostro” Battaglione di casa, e ben presto avrà il suo battesimo di fuoco.
All’epoca, il Regno d’Italia cercava di ricavare un suo spazio coloniale in Africa e inviava un corpo di spedizione, al comando del generale Baratieri, forte di circa 16.000 uomini, tra loro 5.000 ascari, a combattere in Etiopia contro il Regno di Menelik. Il 1° marzo 1896, vicino alla città di Adua, i soldati italiani – tra loro il Battaglione Alpini al comando del Ten. Col. Davide Menini, ufficiale del 6° Reggimento Alpini, forte di circa 550 uomini di tutti i Reggimenti Alpini – ingaggiano la battaglia contro 100.000 abissini, forti di numero ma anche di mezzi. Purtroppo, il combattimento si trasformò in un massacro delle truppe italiane, che perdono la metà dei combattenti, quasi tutti morti sul campo. Tra loro lo stesso Menini, medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Tra i partecipanti alla battaglia anche Alpini di Marostica e, tra questi, il Cav. Tranquillo CRESTANI, di Pradipaldo, insignito della Croce dell’Ordine della Corona d’Italia e nominato Cavaliere in quanto reduce della battaglia di Adua. Il 17 maggio 1936, Crestani fu protagonista della gita della Sezione A.N.A. Marostica a Crosara, ed ecco cosa racconta l’articolo apparso su La Gazzetta di Venezia: “Tra i vecchi alpini partecipanti al festoso raduno alcuni anziani che avevano preso parte alla gloriosa spedizione africana del 1895-1896, chiusasi con la battaglia di Abba Garima. Tra essi il cav. Tranquillo Crestani di Pradipaldo, che, acclamato dai compagni d’arme, ha voluto rievocare le commoventi parole che il gen. Baldissera pronunciò in onore degli Alpini caduti sul campo di battaglia e particolarmente in onore del Tenente Col. Menini, gloria e vanto del 6° Alpini”. Tra l’altro, il Cav. Crestani era il nonno della moglie del nostro attuale Presidente Fortunato Pigato, che ha fornito la documentazione delle decorazioni.
Continua la corsa alle colonie e arriviamo agli anni 1911-1912, che vede impegnato il Regio Esercito italiano nella Guerra di Libia contro l’Impero Ottomano. Vengono conquistate e occupate la Tripolitania e la Cirenaica, ma la guerriglia dei beduini non cesserà mai di combattere i nuovi occupanti. Opera in questa porzione d’Africa l’8° Reggimento Speciale di Alpini al comando del colonnello Cantore e, in una lunga operazione di controguerriglia in Cirenaica, partecipa e ottiene la prima decorazione al valor militare della Sezione Alpini di Marostica il capitano Giovanni Battista MORELLO, classe 1870.
Intanto, in Italia, dispute di confine, risalenti addirittura alla Repubblica di Venezia, non ancora definite nel tratto tra Veneto e Sud Tirolo austro-ungarico, portano i due Stati a rivendicare le cime delle montagne a settentrione dell’Altipiano dei Sette Comuni. Nel 1911 Cima Mandriolo viene occupata da gendarmi austriaci, poi cacciati, mentre lì vicino, fra Monte Campigoletti e Ortigara, nel 1912, la delegazione austro-italiana per la definizione dei confini cerca di trovare una soluzione all’antico problema. È accompagnata da penne nere che di lì a pochi anni lasceranno il loro sangue su queste aride cime. Intanto, esercitazioni militari del 6° Reggimento Alpini si tengono con una certa continuità sull’Altipiano dei Sette Comuni.
Scoppia la guerra, sarà per le sue dimensioni umane e tecnologiche, la Grande guerra 1915-1918.
Il 24 maggio 1915, “Alle 4 il forte Verena apre il primo fuoco”. Con queste parole trascritte sul diario storico del Battaglione Bassano, inizia una delle grandi tragedie del secolo appena passato.
I nostri Alpini di Marostica sono inquadrati in maggioranza nel Battaglione Bassano e, oltrepassato il vecchio confine sugli Altipiani delle Vezzene, avanzano e occupano Cima Dodici e Cima Mandriolo. Le foto propagandistiche li mostrano come fossero in parata, ma di lì a poco la guerra mostrerà il suo vero volto di dolore.
E il secondo giorno di guerra, il 25 maggio 1925, Marostica piange il suo primo morto, l’Alpino Giuseppe SCANAGATTA, classe 1895, ha solo 20 anni. Il nostro Capitano Morello, che comanda la 74^ Compagnia del Battaglione Bassano, comunica alle 8,45 del 26 maggio 1915 al Comando del Sottosettore Vezzena, che “la 94^ (n.d.r. compagnia al comando del cap. Milanesio) ebbe ieri sera due vittime. Non si sanno ancora i nomi e le salme non sono ancora state ricuperate. Ho detto al capitano di fare il possibile, mandando pochi uomini svelti, perché le salme vengano ricuperate pel riconoscimento e per immediata sepoltura”.
I due alpini Giuseppe SCANAGATTA di Marostica e Rodolfo Costa di Valstagna, i primi morti del Battaglione Bassano, sono le probabili vittime di alcuni colpi a shrapnel sparati contro gli alpini del dal ridottino di quota 1857 a Spitz Leve. Anche i giornali danno la triste notizia al pubblico, specificando che il nostro Caduto è di Roveredo Alto.
Passano pochi giorni, e nell’attacco italiano portato nella notte tra il 29 e il 30 maggio 1915 contro il contrafforte di Cima Vezzena e il fortino di Marcai di Sotto, cadono altri nostri Alpini: si tratta di Eugenio CUMAN, classe 1891, di Schiavon, rimasto appeso ai reticolati di fronte alla fortificazione, falciato dai colpi della mitragliatrice, mentre l’alpino Andrea BUSATTA, classe 1891, di Vallonara, moriva per le ferite durante il trasporto dietro le linee amiche. L’azione non aveva avuto successo.
Ancora i giornali danno notizia di nuove vittime, tra queste l’Alpino Pietro PETUCCO da Villaraspa.
L’anno 1915 si chiudeva per i nostri alpini con un altro lutto e la prima medaglia al valor militare per i nostri Alpini della futura Sezione di Marostica. Siamo sulla sinistra del lago di Garda, sull’Altissimo, dove gli alpini del Battaglione Verona hanno il compito di occupare alcuni settori in quota, tra i quali quello di Malga Zurez.
L’attacco italiano si scatena il 30 dicembre 1915, la battaglia è sanguinosa e gli alpini del Battaglione Verona lasciano sul campo morti 6 ufficiali e 42 alpini, oltre a 158 feriti, senza ottenere nulla. Tra i caduti, all’Aspirante ufficiale Addo PASTEGA, di Mason, classe 1885, sarà attribuita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
L’anno 1916 è un nuovo anno di guerra.
Il 19 marzo 1916 da una costola del Battaglione Bassano, precisamente dalla 94^ Compagnia del Magg. Milanesio, nasce il Battaglione Sette Comuni. Al suo fianco sono formate le due compagnie 144^ e 145^, in gran parte con alpini di Marostica e dei comuni limitrofi i cui Gruppi, a buon diritto, costituiscono ancora oggi l’ossatura della Sezione A.N.A Marostica.
I due Battaglioni di casa vengono inviati sul fronte dell’Alto Isonzo, a combattere su due montagne: il Rombon (q. 2208) e il Cukla (q. 1765), cime che oggi ai più dicono poco o niente, ma che costituiscono altrettanti altari di sacrificio per le truppe alpine. Questo è un fronte alpino difficile e ricco di insidie anche atmosferiche, senza dimenticare i morti per valanghe.
Ricordiamo i nostri Alpini su queste vette: il Toi, Antonio XAUSA, a cui è intitolato il Gruppo Alpini CROSARA, combattente sul Cukla con il Btg. Bassano.
E poi i decorati sul Monte Cukla.
Decorato al valore militare alla memoria sarà il Sergente Luigi Segafreddo, di Mason Vicentino, Btg. Bassano, caduto il 14.2.16, M.A.V.M.
Per la conquista del Monte Cukla del 10 maggio 1916, sono decorati alla memoria:
Michele Busa, 1888 Lusiana, 10.5.1916, Btg. Bassano, M.B.V.M.
Giovanni Bellon, di Pianezze, 10.5.1916, Btg. Bassano, M.B.V.M.
Mentre il Cukla rimase in possesso degli alpini italiani, il monte Rombon sarà sempre occupato dalle truppe austriache.
In uno degli attacchi al Rombon, quello del 16 settembre 1916, cade il comandante del Battaglione Borgo San Dalmazzo, il Maggiore Giovanni Battista MORELLO, l’ufficiale di Marostica che già si era guadagnato la medaglia d’argento in Libia.
Sepolto al cimitero di Marostica, così recita la lapide in suo onore: VERO ALPINO D’ITALIA/ MITE GENEROSO FORTE/ CON INVITTA COSCIENZA/ DEDICO’ AL DOVERE/ IL BRACCIO LA MENTE/ IL 16 SETTEMBRE 1916/ CADDE SUL ROMBON/ PER UNA PATRIA MIGLIORE/ LA FAMIGLIA.
Altri episodi di guerra che vedono protagonisti i nostri Alpini.
Il 9 luglio 1916, durante un attacco per la conquista del monte Corno di Vallarsa vengono catturati Cesare Battisti e Fabio Filzi, irredenti trentini, fuggiti dall’Impero e inquadrati come ufficiali nel Battaglione Vicenza. Saranno impiccati per alto tradimento il successivo 12 luglio a Trento. Testimone e protagonista dell’attacco il nostro Maresciallo Antonio GIARETTA, di Mason Vicentino, fondatore del Gruppo Alpini Mason, al quale sarà concessa la medaglia di bronzo al valor militare.
A settembre del 1916, i nostri Alpini inquadrati nel Battaglione Val Brenta, sono protagonisti di epici episodi di guerra sul Monte Cauriol. Infatti, sul fronte del Lagorai, il 27 agosto 1917 gli alpini ottengono uno dei successi più celebrati in guerra: la conquista del Monte Cauriol, alta montagna che svetta sulla Val di Fiemme. Protagonisti gli alpini del Battaglione Feltre che, al termine delle terribili giornate di lotta di fine agosto 1916, sono rilevati sulla posizione dagli alpini del Battaglione Val Brenta. Il 3 settembre 1916 si scatena, furioso, il contrattacco austriaco per la riconquista della cima. Gli alpini del Val Brenta, però, non cedono e a prezzo di gravissime perdite mantengono la vetta.
Dal DIARIO STORICO del GRUPPO ALPINI SATTA, alcuni dettagli della battaglia:
“3 settembre. Verso le ore 6 si inizia il bombardamento nemico delle nostre posizioni del Cauriol, singolarmente di quelle presidiate dal Val Brenta, con tutti i calibri fino al 320. Alle 10 il tiro è intensissimo sul tratto di insellatura fra Cima Cauriol (2495) e quota 2404, per aprire la via all’attacco delle fanterie, che si pronunzia poco dopo fortissimo contro il fronte difeso dal Val Brenta; ma viene nettamente respinto da quest’ultimo con tiro efficace di fucileria e mitragliatrici, lancio di bombe a mano e sassi …”.
Fra loro ben quattro alpini della futura Sezione di Marostica saranno decorati con la medaglia di bronzo al valor militare: il sergente maggiore Gabriele CANTELE, di Lusiana, a cui è intitolato il GRUPPO ALPINI LUSIANA, l’alpino Pietro ORSATO, di Marostica, il sergente Antonio MORESCO, di Molvena, e l’alpino Silvano NICOLI, da Mason. Sarà anche per il loro valore che a Malga Sorgazza, sui Lagorai, sotto l’egida del primo Presidente ANA Marostica, Oreste BATTISTELLO, si benedirà il primo Gagliardetto della Sezione A.N.A. Marostica.
Ma non dimentichiamo i nostri caduti di quella battaglia. In un articolo pubblicato sulla rivista AQUILE IN GUERRA del 2016, l’autore e amico Massimo Peloia ricorda che gli Alpini caduti sul Cauriol vennero sepolti a Malga Sorgazza e alle pendici del Cauriol. Questi vennero poi trasferiti e sepolti a gruppi al cimitero di Caoria, in fosse comuni e senza identificazione. Tra loro i nostri alpini: caporale Giacomo BORSATO di Crosara, classe 1887, Antonio VIERO di Schiavon, classe 1892, e Giuseppe SOSTER di Lusiana, classe 1884, unica salma trasferita poi al cimitero di Casteldante a Trento.
Altro episodio della grande guerra è quello della mina austriaca fatta saltare sulla vetta del Monte Cimone di Arsiero il 23 settembre 1916. Nel tentativo di riconquistare la cima occupata dagli italiani il precedente 23 luglio, i comandi austro-ungarici utilizzarono 14.200 chili di esplosivo innescati dal tenente Albin Mlaker, che già aveva fatto esplodere la sottostante Casa Ratti. Alle 5,45 del mattino, la mina deflagrava seppellendo il presidio italiano della Brigata Sele. Immancabile il contrattacco italiano per la riconquista della posizione, protagonisti gli alpini del Battaglione Val Leogra, che però non riusciranno nell’azione e patiranno gravi perdite. Cadrà nell’attacco l’alpino Giovanni TODESCO, di Marostica, insignito della medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Il 1916 è anche l’anno dell’offensiva austro-ungarica in Altipiano, la Strafexpedition, che porterà guerra e lutti sui comuni montani vicentini. Inizia anche la storia del Battaglione Sette Comuni e della prima battaglia dell’Ortigara. Entriamo nella pagina più importante della nostra storia alpina.
Nel giugno 1916, la Strafexedition terminava con una sostanziale tenuta dell’esercito italiano che, pur perdendo parte del territorio di confine tra Veneto e Trentino, riusciva ad arrestare l’offensiva dell’esercito austro-ungarico, che aveva come obiettivo quello di scendere in pianura. Il Comandante Supremo Conrad sceglieva di ritirare le truppe imperiali sulla parte settentrionale dell’Altipiano dei Sette Comuni, in una linea difensiva appositamente studiata e predisposta, forte per terreno e natura, la cosiddetta winterstellung.
Narrano le memorie del Magg. Milanesio, comandante del Battaglione Sette Comuni, che la notizia dell’invasione del Veneto da parte delle truppe imperiali e la conseguente minaccia che gravava sulle proprie case, agitava i propri alpini vicentini che chiedevano, sommessamente ma fermamente, di tornare a difendere la propria terra: “piuttosto morti tutti nella difesa delle loro terre natie, che incolumi al Cukla”.
In verità, sia gli alpini del Sette Comuni che quelli del Bassano, vennero trasferiti nei primi giorni del mese di giugno sul fronte di Asiago soprattutto perché i comandi confidavano nella specifica conoscenza dei luoghi di combattimento da parte degli alpini originari della zona.
A fine giugno, iniziava l’arretramento delle truppe austro-ungariche, che erano giunte fin sulle Melette di Foza, inseguite sul margine montano dai battaglioni del 6° Reggimento Alpino, che partendo dalla Marcesina occupavano le cime a precipizio sulla Valsugana, fino a raggiungere il Monte Lozze e Cima Caldiera.
Fra le varie riconquiste, ricordiamo quella di Monte Magari, celebrata dalla Domenica del Corriere con una copertina del Beltrame, e Malga Fossetta, dove abbiamo due alpini della nostra Sezione, in forza al Battaglione Bassano, menzionati in un Encomio: caporal maggiore Sante Morello da Vallonara e Antonio Parise da Schiavon.
Sopra tutto e sopra tutti, inizia proprio da questo contrattacco la leggendaria storia militare del nostro Giovanni Cecchin, di Marostica.
Ufficiale del Battaglione Sette Comuni, Cecchin ottiene una prima medaglia d’argento al valor militare per la riconquista dei Castelloni di San Marco (16 giugno 1916) ed una seconda medaglia d’argento per la conquista di Cima Caldiera (26 giugno 1916). Un caso raro ed eccezionale nella storia del giovane Regio Esercito italiano.
Giunti gli Alpini del Sette Comuni sul Monte Lozze, a fine giugno se ne aggiungeranno molti di altri battaglioni in vista del proseguo del contrattacco verso il Portule: ma davanti si para il primo ostacolo, il Monte Ortigara, dove si combatterà per tutto il mese di luglio 1916 in quella che sarà ricordata come la “prima battaglia dell’Ortigara”.
Saranno centinaia gli alpini lanciati in sanguinosi ed infruttuosi attacchi contro l’Ortigara, ma anche contro il vicino Campigoletti, il Monte Forno, il Monte Chiesa, purtroppo inutilmente e con perdite altissime.
Tra i tanti, il 9 luglio 1916 cadeva sul campo il sergente Cipriano TODESCHINI, di Mason, in forza al Battaglione Val d’Arroscia, mentre veniva mandato all’assalto contro le munite trincee di Monte Cucco di Pozza. Sarà decorato di medaglia di bronzo al valor militare alla memoria. Alla fine del mese di luglio 1916, i comandi italiani dovettero sospendere per le alte perdite ogni attacco e si iniziò un lungo e faticoso lavoro di scavo per sistemare la linea difensiva italiana.
Giunge l’inverno, quello del 1916-1917, uno dei più freddi del secolo. Ma è anche il momento in cui Cecchin, ferito il 5 luglio 1917 nella prima battaglia dell’Ortigara, torna dall’ospedale e il 15 dicembre 1916 gli viene affidato il comando della 274^ Cpg. del Battaglione Val Brenta, che conduce a Malga Sorgazza (settore Forcella Magna-Lagorai). Poco dopo, però, torna al suo Battaglione Sette Comuni, ma sarà sempre ricordato dagli Alpini del Val Brenta, tanto che nell’estate successiva gli dedicheranno una targa di marmo sulla vetta di Forcella Magna. Cappellano del Val Brenta è don Amilcare Boccio, che ricorderà nelle sue memorie gli Alpini di Marostica e che benedirà nel settembre 1923 il gagliardetto della nascente Sezione A.N.A. Marostica. Ed è per tutti questi ricorsi storici, che, come detto dal nostro Fabio Volpato: “per la Sezione di Marostica, Malga Sorgazza rappresenta a pieno titolo il Suo Pellegrinaggio”.
Quella che però sarà ricordata come la “Battaglia dell’Ortigara” si combatterà tra il 10 ed il 29 giugno 1917.
Un’intera divisione, la 52^ al comando del Gen. Como Dagna Sabina, venne costituita per la prima volta con 22 battaglioni alpini per riconquistare tutta la parte settentrionale dell’altopiano di Asiago e riportare la linea difensiva italiana sul Portule. Agli alpini il compito di conquistare le cime che, in successione, si elevano ad orlo dell’altopiano che qui sprofonda nella sottostante Valsugana. Prima fra tutte proprio l’Ortigara e le sue due quote principali: la quota 2105 e la quota 2101.
L’attacco iniziò alle ore 15 del 10 giugno 1917 e alla sera si poteva vantare la conquista, ad opera del Battaglione Bassano, del Passo dell’Agnella, della quota 2003 e della quota 2101 dell’Ortigara (una delle due quote principali). Durante l’attacco per l’occupazione del Passo dell’Agnella, cadeva sul campo l’alpino Pietro CORREZZOLA, di Marostica, Battaglione BASSANO, medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
L’attacco per l’occupazione dell’intera montagna venne sospeso per riprendere all’alba del 19 giugno 1917. La veloce avanzata delle truppe alpine, preceduta da un breve ma intenso fuoco d’artiglieria per scardinare le potenti difese austriache, ebbe finalmente successo, ma il prezzo in termini di morti e feriti fu impressionante. Moriva sul campo di battaglia, trafitto alla gola e all’addome da schegge di granata e pallette di shrapnel, il Sottotenente Lodovico PIVATO, nato il 1° luglio 1890 a Marostica, amico di Cecchin e anch’egli ufficiale del Battaglione Sette Comuni. Venne decorato di medaglia d’argento al valor militare alal memoria.
Sepolto anch’egli in un primo tempo al cimitero di Enego, riposa ora al Sacrario di Asiago. La lapide della sua prima tomba è oggi esposta fuori dalla Chiesetta di San Lorenzo alla Piana di Marcesina. Era un soldato di amministrazione e teneva molto alle sue carte; laureando in legge, tanto che sul Corriere della Sera del 5 luglio 1917 venne menzionato come caduto dell’Università di Padova. Il tenente Luigi Pugliaro, che scrisse un libro sul Battaglione Sette Comuni disse che il battaglione ne onorò la memoria con un piccolo monumento innalzato sulla sua tomba, a Barricate sull’Altipiano di Asiago.
Durante l’assalto che porterà alla conquista della quota 2105 dell’Ortigara, un evento altrettanto doloroso: veniva ferito gravemente il Tenente Giovanni CECCHIN, che morirà, secondo il foglio matricolare, il giorno dopo presso l’Ospedale militare di Enego. Per gli atti di valore, gli sarà conferita la medaglia d’oro al valor militare alla memoria, ed è una delle sole tre medaglie d’oro che saranno attribuite in tutti i quindici giorni di guerra sull’Ortigara. A lui è intitolata la Sezione A.N.A. di Marostica.
Citiamo un altro decorato del 19 giugno 1917. Si tratta del Sottotenente Giocondo BONOTTO, anch’egli di Marostica, ufficiale del 2° Reggimento Alpini, Battaglione Valle Stura, medaglia di bronzo al valor militare. Ferito in varie parti, sopravviverà alla guerra.
L’Ortigara fu riconquistata dai soldati austro-ungarici all’alba del 25 giugno 1917, rendendo vano ogni sacrificio dei nostri Alpini.
Ci spostiamo su un altro campo di battaglia, quello della Bainsizza, dove nell’agosto 1917 si combatté la più grande offensiva italiana della grande guerra. Cadde in combattimento il 29 agosto 1917 l’alpino Giuseppe PRANDINA, di Molvena, a cui è intitolato il Gruppo di VILLA DI MOLVENA.
OTTOBRE 1917 CAPORETTO
Caporetto segna uno spartiacque non solo nella storia della Grande guerra, ma dell’intera storia italiana. Fu una gravissima sconfitta militare, i cui riflessi si riverberarono anche sul fronte dell’Altipiano dei Sette Comuni, che dopo il ripiegamento dell’esercito italiano diventa ala sinistra della nuova linea difensiva, unito al Monte Grappa e tramite questo al fiume Piave.
Scendendo dalla Caldiera e dal Lozze, i nostri Alpini furono inviati prima a difendere l’acrocoro delle Melette, che il 4 dicembre 1917 dopo settimane di combattimenti venne abbandonato, quindi si abbarbicarono sull’orlo della Val Brenta, Monte Cornone e San Francesco, e sulle elevazioni conosciute come “Tre Monti”, Val Bella, Col del Rosso e Col d’Echele.
Sulle Melette di Foza, combatte e viene catturato sul Monte Fior alle ore 17,30 del 4 dicembre 1917, il Ten. Luigi SCRIMIN, di Marostica, comandante della 290^ Compagnia del Battaglione Monte Pasubio. Dalla prigionia scrisse in una lettera alla madre: “L’alba del 4 dicembre 1917: la più triste della mia vita…”. Il comandante del Battaglione Monte Pasubio era il maggiore Giulio Battisti, da non confondere con il futuro generale Emilio Battisti, comandante della Divisione Cuneense, che più avanti ritroveremo con Scrimin in Russia nella ritirata del 1943.
Abbiamo citato il Monte Grappa, il baluardo montano il cui possesso consentiva agli italiani di unire le linee difensive dell’Altopiano di Asiago e del fiume Piave. Sul Grappa si attestò la linea difensiva italiana, dopo una battaglia d’arresto combattuta per tutto il mese di novembre e di dicembre 1917. Il costone che proprio dalla cima si stacca verso nord, comprende alcune alture rimaste famose per le cruenti battaglie combattute per il loro possesso: il Monte Casonet, Col dell’Orso e Monte Solarolo. In zona gravitava nel novembre 1917 un certo Ten. Rommel, già famoso per le vittorie conseguite da Caporetto in poi con i suoi Wuttenburghesi.
A difendere il settore un Raggruppamento di alpini della 4^ Armata (Cividale e Monte Pavione), al comando del tenente colonnello Sirolli, provenienti dai Lagorai e dalle dolomiti di Primiero. Il 25 novembre 1917, fra i tanti Alpini che difendono il settore del Grappa si distingue un ufficiale di quel raggruppamento, nel momento in cui gli alpini dei Battaglioni Cenischia e Val Cismon, rioccupando Cima Solarolo, contengono lo slancio offensivo austro-tedesco. Si tratta del capitano Virgilio SALIN, di Marostica, dai suoi concittadini conosciuto come “Barba di rame”, che riceverà la medaglia di bronzo al valor militare. Il nostro Salin era stato scelto da Sirolli quale suo aiutante maggiore del nuovo Raggruppamento Alpini, dopo che pochi giorni prima era stato comandante interinale del Battaglione Val Brenta dal 7 al 18 novembre 1917. Virgilio Salin era un vecchio alpino che già nei primi giorni di guerra, agosto 1915, si era distinto ed aveva ricevuto un encomio, come riportato anche dai giornali dell’epoca: «Comandante di un drappello guastatori, durante l’attacco di un Fortino nemico, eretto in posizione difficilmente accessibile, diede prova di non comune ardimento, affrontando il fuoco intenso di mitragliatrici e di artiglierie avversarie. Cima di Vezzena 24-25 agosto 1915». Al valoroso e forte ufficiale le nostre più vive congratulazioni e l’augurio che altri e maggiori allori egli sappia mietere”.
Il Grappa è sotto attacco, per gli austro-tedeschi è l’ultimo ostacolo prima di raggiungere la pianura. E si combatte aspramente su tutte le sue elevazioni: le truppe italiane, gli alpini, hanno pochi mezzi e poche risorse, il tempo è inclemente, eppure da qui non arretreranno più.
Sulla sinistra della linea del Grappa, si contendevano aspramente una serie di colli che si elevavano a protezione della strada Cadorna che porta in pianura. Uno di questi, estremità occidentale del costone che scende da Cima Grappa, è il Col della Berretta. I famosi Rainer del 59° Reggimento hanno il compito di aggirarlo per prendere alle spalle la linea difensiva sul Grappa. Il 23 novembre 1917 i salisburghesi attaccano per ben due volte il colle, ma vengono arrestati con il concorso degli alpini del Battaglione Val Brenta.
Ma non è ancora finita. Un nuovo attacco austriaco si pronuncia all’alba del 26 novembre 1917, e dopo una giornata di sanguinosi combattimenti il Col della Berretta, grazie anche al valore dei siciliani della Brigata Aosta, è ancora in saldo possesso delle truppe italiane. Ancora protagonisti gli alpini del Battaglione Val Brenta, tra i quali il caporal maggiore Francesco FIORIO, di Mason, che morirà il 27 novembre presso la 50^ Sezione di sanità a causa delle gravi ferite subite, medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Per questo combattimento e per altri successivi sul Col della Berretta, veniva concessa un’altra medaglia d’argento al valor militare alla memoria al Sergente Antonio VACCARI, di Molvena, Con loro, ritroviamo il cappellano del Val Brenta, don Amilcare BOCCIO, che ricorderà semplicemente: “io sono in mezzo ai miei alpini”, ma anche lui rimarrà ferito e costretto a lasciare i suoi Alpini per l’ospedale di Busto Arsizio.
1918: L’ANNO DELLA PACE
Nel dicembre 1917, gli alpini che ripiegavano dalle Melette si posizionarono sull’orlo dell’altopiano che precipita in Val Brenta, sotto i roccioni del Cornone e del San Francesco.
Gli alpini del Battaglione Sette Comuni, inquadrati, con il IX Gruppo Alpini del Col. Scandolara, nel I Raggruppamento Alpino al comando del temibile Gen. Andrea Graziani, occuparono il ripido costone che dal San Francesco sprofonda in Val Frenzela ed in Val Vecchia, mentre altri battaglioni alpini al comando del Col. Celestino Bes si attestavano poco sotto l’orlo del Cornone, in un altrettanto ripida parete che sprofondava sull’abitato di Valstagna.
Tra il 28 ed il 30 gennaio 1918 si combatté la prima battaglia offensiva italiana dopo Caporetto, ricordata come “battaglia dei Tre Monti”. Sul Val Bella, sul Col del Rosso e sul Col d’Echele ancora una volta sono i migliori reparti italiani, bersaglieri del V Reggimento, fanti della Brigata Sassari e alpini dei Battaglioni Monte Baldo e Stelvio, a recuperare terreno e ridare morale all’esercito italiano. Le fiamme della battaglia si propagarono anche sul San Francesco e sul Cornone.
Sul San Francesco, gli alpini del Sette Comuni avevano l’ordine di attaccare per mettere piede sulla cresta montuosa che, ricordiamo, si congiunge al comune di Foza. Per capire la zona, oggi dove si trova la Croce c’era la chiesetta, e dove oggi c’è la chiesetta c’era una croce.
Fra loro il tenente Massimiliano LUCINI, di Marostica, comandante del 2° plotone della 94^ Compagnia del Battaglione Sette Comuni. L’attacco parte alle ore 3,30 della notte del 28 gennaio, per superare i salti di roccia si usano addirittura le scale di corda, gli alpini riescono ad occupare il San Francesco e la chiesetta ivi dedicata al grande Santo patrono d’Italia, ma sono costretti poi a ripiegare per i forti contrattacchi austriaci. Lucini, ferito da schegge di granata, venne fatto prigioniero con i suoi 22 alpini e il Col. Canlupio, che lo interrogherà dopo il rimpatrio e che leggerà la sua relazione scritta, così lo descrive: “Il tenente LUCINI Massimiliano ha molta prestanza militare. È abbastanza colto e intelligente. Dimostra carattere franco e leale. Asserisce di aver tenuto contegno corretto durante la prigionia e di non essere stato punito. Ha scritto e narrato il fatto d’arme in cui fu fatto prigioniero con chiarezza e precisione tanto da far ritenere che la sua cattura sia avvenuta nel modo da lui esposto e quindi difficile ad evitarsi”.
Da sottotenente, Lucini combatté in Ortigara e due volte ferito, l’ultima il 25 giugno quando fu portato all’ospedale di Enego. Creduto morto, venne portato in sala mortuaria, dove la notte stessa si risvegliò, tra lo stupore e la sorpresa di chi stava pregando per la sua anima. A Massimiliano LUCINI è intitolato il GRUPPO VALLONARA.
Passano i mesi e, fuori dal contesto di guerra, ricordiamo due date per noi speciali.
Il 15 maggio 1918 viene pubblicato il 33° elenco di ricompense al valor militare per la campagna di guerra 1915-1918. Prima fra tutte, la medaglia d’oro al valor militare concessa, alla memoria, al tenente Giovanni CECCHIN, da Marostica, tenente reggimento alpini: “Di fronte al nemico dimostrò sempre sereno coraggio, cosciente spirito di abnegazione, fiducia in sé e nei propri uomini. Fulgido esempio di eroismo, guidò la propria compagnia all’assalto di forti posizioni nemiche, primo a slanciarsi fuori dei ripari. Con tenace volontà rinnovò ripetute volte gli attacchi, non mai fiaccato dal fuoco avversario, e riorganizzò poi la truppa, rianimandola per nuovi combattimenti. Nell’azione che portò alla conquista di una forte posizione, riconfermò ancora una volta le sue doti di valoroso ed abile condottiero. Ferito gravemente da una scheggia di granata nemica, manteneva fermo contegno, incurante del dolore che lo straziava, ma fiero dell’esito vittorioso conseguito nell’azione. Si spegneva tre giorni dopo, in seguito alla ferita riportata – Cima Ortigara, 10-19 giugno 1917”.
Il 20 settembre 1918, venerdì, allora solenne Festa dello Statuto, il Gen. Ugo Sani, comandante del XIII Corpo d’Armata, in una cerimonia presso Laverda, presente anche la fidanzata, consegnava la medaglia d’oro al valor militare alla madre del Ten. Giovanni Cecchin, Sig.a Cattarina Tulisso. Il 22 settembre la cerimonia si ripeteva a Marostica, in una grande festa Alpina ancora una volta presieduta dal Gen. Ugo Sani che rinnovava la consegna della medaglia d’oro al valor militare alla madre del Ten. Cecchin. Il Presidente della provincia di Vicenza plaude con un telegramma e testimonia che “tutta la Provincia esulta con codesta Città, per la gloria che tutta la illumina con la luce di Giovanni Cecchin”.
E arriva anche la fine della guerra. Il Gen. Diaz ha progettato un attacco sul Piave verso Vittorio Veneto, con contemporanee azioni dimostrative sul fronte del Grappa. Gli ultimi giorni di guerra non sono meno sanguinosi degli altri, anzi sembra che nessuno voglia lasciare sul campo un briciolo di onore. Anche a prezzo, ormai inutile, di tante vite umane. Ecco le ultime due medaglie al valore per gli Alpini di Marostica.
Nelle ultime battaglie sul massiccio del Grappa, precisamente a Monte Solarolo, il 25 ottobre 1918 cadeva in combattimento l’alpino Pietro MALGARINI di Marostica, in forza alla 348^ Compagnia mitragliatrici, del Battaglione Levanna; gli sarà attribuita la medaglia d’argento al valor militare alla memoria.
Per capire la brutalità dei combattimenti, riportiamo una parte del rapporto del comandante del Levanna: “Le armi scottano nelle mani dei tenaci difensori, le mitragliatrici sono arroventate e l’acqua bolle nei manicotti, le baionette si arrossano e si spezzano nel furore della lotta, ma gli Alpini non si ritirano. Sembrano inchiodati al terreno raggiunto”.
L’ultima medaglia viene appuntata sul labaro della Sezione A.N.A. di Marostica dall’alpino Silvio VOLPATO, di Mason Vicentino, medaglia di bronzo al valor militare guadagnata sul greto del fiiume Piave il 27 ottobre 1918, mentre dispiegava l’opera sua pietosa, è sicuramente un alpino della sezione sanità, un ultimo gesto d’amore degli alpini di Marostica.
Il 4 novembre 1918, alle ore 15, la grande guerra è finita.
Per rendere onore ai nostri decorati, riportiamo, purtroppo solo per alcuni di essi, il luogo dove ancora oggi sono sepolti e dove portare un fiore:
Magg. MORELLO Giovanni Battista, cimitero di Marostica
Ten. CECCHIN Giovanni, Tempio Ossario di Bassano del Grappa
Ten. PIVATO Lodovico, Sacrario di Asiago
c.m. FIORIO Francesco, Sacario di Cima Grappa
alpino VACCARI Antonio, Tempio Ossario di Bassano del Grappa
IL PRIMO DOPOGUERRA (1919-1940)
Finita la guerra, per dare conforto alle famiglie, in numerose cerimonie in tutta Italia si commemorano i Caduti, celebrazioni che culminano il 4 novembre 1921 nella grande manifestazione della inumazione all’Altare della Patria, a Roma, della salma di un soldato ignoto esumata sul fronte italiano: è la commemorazione del MILITE IGNOTO.
Fra le undici salme riesumate, una viene tratta dall’Altipiano dei Sette Comuni e un’altra dal Grappa, luoghi ed identità segreti come per tutti gli altri. Le prime quattro salme vengono riunite a Bassano del Grappa, da dove partiranno per Aquileja. Un particolare: il giorno solenne della sepoltura all’Altare della Patria, solo un ufficiale rompe il protocollo e si avvicina alla bara, di fronte al Re, per accarezzarla e poi farsi da parte in lacrime: è un colonnello degli Alpini.
Alpini che sentono il bisogno di riunirsi per non dimenticare la loro guerra: a Milano l’8 luglio 1919 nasce l’Associazione Nazionale Alpini, che vuole riunire i soldati che hanno prestato il servizio militare nel Corpo degli Alpini. Dal 6 all’8 settembre 1920 la prima adunata dei suoi soci, all’epoca denominata CONVEGNO, avviene sull’Ortigara, ricordata come “Calvario degli Alpini”, proprio là dove Marostica piange la sua medaglia d’oro al valor militare: il Ten. Giovanni Cecchin. La mattina del 6 settembre 1920, sulla vetta dell’Ortigara, il cappellano del Battaglione Sette Comuni don Sbaragli celebra la messa, lo vediamo in una celebre foto vicino al primo Presidente dell’A.N.A. Arturo Andreoletti. E nel resoconto della giornata, il Corriere della Sera ricorda che, tra i tanti, sono presenti “rappresentanti degli Alpini di MAROSTICA”.
Bisogna però attendere l’8 aprile 1923 perché si costituisca la nostra Sezione: presso l’allora Trattoria “Il Risorgimento”, gli Alpini di Marostica eleggono il loro Presidente, Oreste Battistello e danno vita ufficialmente ad una storia lunga cent’anni: la storia della nostra Sezione A.N.A. di Marostica.
Il successivo 10 giugno 1923, a 6 anni dalla battaglia dell’Ortigara, gli Alpini si ritrovano in Altipiano, sfilano durante una cerimonia che attraversa Asiago e Gallio: tra loro i nostri Alpini di Marostica.
Ed ecco un altro momento significativo per la Sezione A.N.A. Marostica.
Il 9 settembre 1923, gli Alpini di Marostica salgono a Malga Sorgazza, là dove un cimitero raccoglie gli Alpini del Val Brenta, e in una commovente cerimonia don Amilcare BOCCIO benedice il gagliardetto della nuova Sezione.
A Malga Sorgazza era presente il Segretario di Sezione, il sottotenenente Giovanni Martini, di Marostica, ufficiale del Battaglione Stelvio e medaglia di bronzo al valor militare sul monte Cornone. La sorella Lia, maestra di Marostica e durante la guerra Crocerossina all’ospedale n. 007 di Marostica, pronuncia il discorso che leggiamo nel libro del centenario: Lia Martini “rievocando mirabilmente il grido che il Carducci gettava in faccia allo straniero… «Italia!Italia!Italia!»… dice l’enorme dovere che incombe su ciascuno di far grande in ogni senso una Patria salva e sicura a prezzo di tanto dolore”.
Dai quotidiani, sappiamo che il 7 febbraio 1925, presso l’albergo “Risorgimento”, ha luogo l’assemblea sezionale durante la quale viene eletto ancora presidente BATTISTELLO Oreste, Vice Presidente Francesco Losco, Segretario Arturo Costa, Cassiere Federico Zanfrà, Consiglieri: Luigi Costa, Antonio Parise, Romano Predebon, Francesco Spagnolo, Giuseppe Cabion. Come sempre, seguono canti e inni, tradizione portata avanti oggi dal Coro A.N.A. Marostica. Quindi una notte speciale: quella della VEGLIA VERDE presso il Salone Politeama, dove al suono dell’orchestra si balla, si raccolgono offerte e… si programmano nuovi piccoli alpini! All’alba, racconta la cronaca, “le coppie allegre e stanche ritorneranno alle loro abitazioni con un grato ricordo delle ore felicemente passate”.
Ma il 1925 è anche l’anno della traslazione della salma di Gianni CECCHIN dal cimitero di Enego a quello di Marostica. Abbiamo foto del funerale, non ancora la data precisa. Sappiamo, però che domenica 27 settembre 1925 a Bassano del Grappa si radunano i reduci Alpini dei Battaglioni Sette Comuni a Bassano. Nel pomeriggio, gli Alpini del Sette Comuni si riuniscono al cimitero di Marostica dove è programmata una cerimonia sulla tomba di Giovanni CECCHIN. Sono presenti Alpini dei Battaglioni Bassano e Val Brenta. Ancora la cronaca: “Gli Alpini deposero una grande corona d’alloro sulla tomba del loro eroe e rimasero in muto raccoglimento per un minuto. Parlò quindi il capitano Martinelli, esaltando le magnifiche virtù del caduto. Per ultimo fra la generale commozione il fratello della medaglia d’oro ringraziò gli alpini superstiti. Finita la breve cerimonia gli scarponi sfilarono cantando i loro inni e quindi fra suoni e libazioni aspettarono l’ora della partenza”. Ma la salma di Cecchin non ha ancora trovato il suo definitivo riposo. Il sabato 27 agosto 1938 il corpo di Gianni Cecchin viene traslato al più imponente Tempio Ossario di Bassano del Grappa, dove ancora oggi gli Alpini di Marostica gli rendono omaggio.
Altro passaggio istituzionale è quello del 21 marzo 1928, con assemblea ed elezione delle cariche della Sezione ANA Marostica: Presidente Oreste BATTISTELLO, Vice Presidente Arturo Costa, Segretario Giovanni Martini, Cassiere Girolamo Lunardon, Consiglieri: Costa, Parise, Predelon, Pitucco e Tosin. Al termine, canti e inni.
Nello stesso anno, il 19 novembre 1928, presente il generale Graziani, si inaugura a Marostica, precisamente a Borgo Giara dove è nato, una lapide in ricordo della medaglia d’oro Cecchin e gli viene anche intitolata una via, ancora oggi esistente.
Nel maggio 1928, l’A.N.A. nazionale, come tutte le Associazioni d’Arma, subisce per decisione del governo fascista una riorganizzazione di stampo militare, tanto che viene anche rinominata 10° Reggimento Alpini. Così il Presidente nazionale, prima eletto dai soci alpini, viene ora designato per nomina dal governo e denominato Comandante, così come tutti i Presidente di Sezione. In questo frangente, il 20 luglio 1930 un articolo de L’Alpino dà notizia della ricostituzione della Sezione A.N.A. di Marostica, avvenuta in una riunione al Politeama convocata dal commissario straordinario Adriano Montagna, presente la madre di Gianni Cecchin. Il nuovo comandante è il tenente Paolo CONTE.
Da un opuscolo annuale del 10° Reggimento Alpini, sappiamo che nel 1933, comandante è ancora Paolo Conte, sono costituiti i Gruppi di Crosara, Marostica, Pianezze-Molvena. I soci sono 141.
Il 15 dicembre 1934 un altro omaggio al nostro Cecchin. A lui viene intitolata la Caserma Alpini di Silandro e la mamma di Gianni, invierà una foto del figlio medaglia d’oro con la seguente dedica: “L’effige di mio figlio nella Caserma intitolata al Suo nome, sia di esempio e incitamento ai giovani Alpini che nelle montagne redente dal sacrificio di tanti Eroi educano il corpo e lo spirito per i futuri cimenti”. Per volere di Mussolini, pochi anni dopo nel 1937 la caserma diventerà Caserma Druso.
Non si fermano negli anni le feste sezionali: già abbiamo accennato alla “gita” a Crosara del 17 maggio 1936, con la partecipazione dei reduci della Battaglia di Adua, tra i quali il cav. Tranquillo Crestani. Il successivo 7 giugno 1936 la cronaca narra di una nuova “gita-raduno” che raggiunge Pianezze e Molvena, con omaggio ai rispettivi monumenti ai Caduti. Quindi, il successivo 4 luglio, la fondazione ufficiale del Gruppo di Schiavon, primo “comandante” il sergente Luigi Centofante, invalido di guerra.
Sappiamo che dal 15 agosto 1936 il cappellano è don Pietro Nichele.
Nel giugno 1938 Conte lascia per problemi di salute e viene nominato comandante Antonio BUREI. Nell’ambito di una ennesima riorganizzazione di stampo militare, la Sezione A.N.A. di Marostica, ora “Battaglione”, entra a far parte dell’11° Reggimento, ma nuovi venti di guerra soffiano in Europa e nel mondo.
LA SECONDA GUERRA MONDIALE (1940-1945)
La guerra è sempre una tragedia, per le tante implicazioni ideologiche e civili la seconda guerra mondiale è stata probabilmente la peggiore catastrofe umanitaria. Vi partecipò anche l’Italia, con i suoi giovani, i suoi Alpini, parliamo di una “generazione sfortunata e senza memoria”, chiamata a combattere in una guerra insensata, voluta dal regime fascista, ma appoggiata anche dallo Stato Maggiore militare, che ha portato solo morte e distruzione. Gli Alpini, come tutti i soldati, la combatterono fedeli al giuramento al Re, al senso del dovere portato fino alle estreme conseguenze. Per loro, (in gran parte) l’oblio.
Il 1° Settembre 1939 la Germania nazista invade la Polonia. Come una reazione a catena, entrano in guerra o sono coinvolte nei grandi movimenti di truppe quasi tutte le altre nazioni europee: è l’inizio della seconda guerra mondiale.
L’Italia entra in campo il 10 giugno 1940, con la dichiarazione di guerra alla Francia e alla Gran Bretagna, che già stanno combattendo contro le armate di Hitler.
Non solo fronte occidentale, però, ma tanti altri saranno i fronti dove combatteranno i battaglioni alpini che inquadrano i richiamati del territorio di Marostica.
GUERRA ALLA FRANCIA. Il primo attacco italiano è contro la vicina Francia, già da mesi in guerra con la Germania e sul punto di cedere alla resa, ed ebbe come direzione obbligata offensiva la frontiera sulle alpi occidentali. Ben presto vennero a galla i problemi logistici delle truppe italiane, male equipaggiate e armate, costrette a combattere contro gli avversari e contro gli elementi naturali. Sarà una tragica costante di tutti i fronti di guerra.
Al Col de Puriac, lungo il confine tra la provincia di Cuneo e quello francese, combatteva il Sergente Lorenzo FRESCURA, di Marostica, 11° Reggimento alpini, che il 23 giugno 1940 guadagnava la Croce di guerra al valor militare. Il “cessate il fuoco” tra le truppe italiane e francesi scatterà alle ore 1,35 del 25 giugno 1940.
GUERRA ALLA GRECIA. Mussolini, geloso delle conquiste di Hitler che aveva occupato mezza Europa, ambiva a riscuotere successi anche per l’Italia fascista e volge le sue mire oltre lo Stretto di Otranto. Scriverà Emilio Faldella, ufficiale degli Alpini ed autore di una Storia degli Alpini: “le responsabilità per la fatale decisione di muovere guerra alla Grecia senza preparazione, senza truppe sufficienti, sono dunque circoscritte alle persone di Mussolini, Ciano, Badoglio, Visconti Prasca e Soddu”.
Il 28 ottobre 1940 Mussolini ordina alle truppe italiane di varcare il confine tra l’Albania e la Grecia e invadere il regno ellenico. Al centro dello schieramento militare italiano, chiamati a combattere sulle aspre, fredde ed inospitali montagne greco-albanesi non potevano mancare gli alpini, precisamente la 3^ Divisione Alpina Julia.
I reparti italiani, male armati, male equipaggiati e male comandati, dopo una iniziale fase offensiva che li vedeva avanzare entro i confini greci, dovettero ben presto difendersi dalle agguerrite truppe elleniche che non solo riguadagnavano il poco territorio perso, ma entravano in Albania minacciando seriamente di ributtare a mare il corpo di spedizione italiano. Diventano tristemente famosi i nomi del Golico, della Vojussa, del ponte di Perati, di Tepeleni.
Urgevano a questo punto rinforzi per bloccare l’offensiva dei greci. Sbarcava in Albania nel novembre 1940 anche l’11° Reggimento Alpini, Divisione Pusteria, con i battaglioni Trento e Bassano, e veniva subito autotrasportato a fine novembre lungo la Vojussa, per arginare le infiltrazioni greche. Il reggimento si schierava sulle pendici occidentali del Mali Taborj fra Tremishta e Kasove, respingendo per tre giorni ininterrotti furibondi attacchi. Il 30 nvembre 1940, a Novoselé, rimaneva ferito mortalmente il Sergente Antonio MATTESCO, che poi spirava all’Ospedale di Tremistha, in Albania. Sarà insignito della medaglia d’argento al valor militare alla memoria. A lui è intitolato il Gruppo Alpini Marostica Centro, che lo ha ricordato il 13 settembre 1996 inaugurando un piccolo monumento a lui dedicato nel quartiere San Benedetto.
Le battaglie di ripiegamento continuavano nel duro inverno balcanico. Freddo, gelo, neve, erano gli ostacoli naturali, divise lacere, armamenti antiquati, rifornimenti scarsi, mancanza di viveri e munizioni, erano gli ostacoli frapposti dalla cattiva gestione dell’esercito italiano, contro un nemico agguerrito che, va detto, difendeva la propria terra invasa.
Con l’inizio del disgelo e l’approssimarsi della primavera del 1941, riprendono le puntate offensive italiane, volte a rettificare una linea particolarmente sfavorevole.
Il Monte Spadarit ad esempio, in mano greca, è un punto d’osservazione sulla linea difensiva italiana, minaccioso e penalizzante. Gli alpini del Battaglione Feltre il 10 marzo 1941 riescono ad occupare la vetta, ma poiché l’artiglieria greca si accanisce contro gli altri battaglioni, impedendo loro di giungere a rinforzo, sono costretti ad abbandonare la conquista. Cade in battaglia sul Costone Bozuqi, il 10 marzo 1941, l’Alpino Italo BOSCHETTI, di Marostica, medaglia di bronzo al valor militare alla memoria.
Anche i greci non rimanevano inattivi e il 12 febbraio 1941 scatenavano un’offensiva che tendeva all’occupazione di Valona e del suo porto, in Albania. Tra i tanti episodi, la battaglia per la conquista del Monte Scindeli, difeso dagli alpini dei Battaglioni Bolzano, Val Cismon e Monte Cervino. Lo Scindeli era separato dalla Valle della Vojussa da un’altra triste cima: il Golico, dove venne inviata ad operare la Divisione Julia (8° e 9° Reggimento Alpini) che si pose a cavallo della Vojussa raccordando così le linee delle due cime.
L’attacco violento greco del 7 marzo 1941 intendeva aprirsi la via della Vojussa per Valona, passando per la conquista del Mezgoranit, dello Scindeli e del Golico. Il 14 marzo termina la durissima battaglia difensiva, con il Golico nuovo calvario di Alpini i cui corpi a centinaia costellano la montagna, Tepeleni resta in mano italiana. Probabilmente in questa battaglia viene ferito a morte l’alpino Antonio LANARO, che muore il 18 marzo 1941, a cui è intitolato il Gruppo Alpini di Pianezze.
Si attenderà aprile per l’offensiva italiana finale e la fine della guerra contro la Grecia.
Perdite: morti 13.755, dispersi 3.914, feriti 50.874, 12.368 congelati. E canzoni di guerra che entrano nella storia degli Alpini.
GUERRA IN AFRICA. Anche qui sono impiegati gli Alpini, che in Etiopia ed Eritrea hanno una lunga tradizione di onore e di gloria che affonda le radici nelle battaglie coloniali di fine ottocento. Questa volta, dopo la dichiarazione di guerra, gli avversari sono i vicini inglesi, che occupano il Sudan e l’Egitto e che vantano una lunga tradizione di politica coloniale in Africa. Ben presto i due contendenti si davano battaglia in questo lontano teatro di guerra, per la supremazia territoriale. Da metà del gennaio 1941 le truppe anglo-indiane avevano intrapreso una offensiva che doveva portare all’occupazione di tutta l’Africa Orientale Italiana e alla resa delle armi del comandante delle truppe italiane, il Duca d’Aosta, peraltro accolto con onore assieme ai suoi uomini dai comandi inglesi.
A difendere la via per la capitale dell’Eritrea, la città di Asmara, venne inviato il Battaglione Alpini Uork Amba (riferimento alla “Montagna d’oro” già conquistata nel 1936), composto da elementi eterogenei, ma che il comandante volle comunque equipaggiati come veri alpini. Occupò l’arco di monti a difesa della piana di Cheren, elevazioni che sfioravano i duemila metri, naturale sbarramento contro la direttrice di avanzata britannica proveniente dal Sudan. La battaglia ebbe due fasi, una a febbraio e una a marzo del 1941 e si concluse con l’occupazione britannica delle alture e il ripiegamento degli alpini, decimati dai tanti combattimenti sostenuti per mantenere le cime, verso Asmara, che cadde in mano alle truppe inglesi l’8 aprile successivo.
Anche qui testimonianze dimenticate di dolore, sopportazione, altruismo. “Cheren. 18 marzo. I giorni che seguirono non furono altro che calvario… E non c’erano quasi più munizioni, con una gavetta di pasta scotta al giorno, con l’acqua che sapeva di terra”. Caddero circa centomila proiettili di artiglieria sugli italiani negli ultimi dieci giorni di lotta, fino al ripiegamento iniziato all’alba del 27 marzo.
Il 19 marzo 1941, su una delle cime del Cheren, il Monte Tetri, guadagnava la medaglia di bronzo al valor militare il Ten. Giuseppe MENEGOTTO.
1942-1943 GUERRA IN RUSSIA. La guerra in Russia in realtà si combatté in Ucraina e non possiamo non constatare che, 80 anni esatti dopo, l’umanità non ha imparato nulla e ricomincia a combattere sulle stesse balze. L’epopea del Don, il ripiegamento effettuato con un clima glaciale e senza acqua e cibo, infine la battaglia di Nikolajewka, sono pietre miliari della storia alpina che hanno coinvolto migliaia di uomini che, nella stragrande maggioranza, hanno lasciato la loro vita, e i loro corpi inanimati, nelle gelide nevi della steppa. I pochi reduci tornati hanno raccontato quelle lontane e tragiche giornate. La Sezione di Marostica ha avuto il privilegio di poter fissare per sempre le memorie di un suo alpino reduce della Divisione Tridentina, Emilio Versetti di Pianezze, che ci ha lasciato nel 2012 per il Paradiso di Cantore. Con la sua diretta testimonianza, abbiamo potuto rivivere i combattimenti sul fiume Don, conoscere la dura vita di trincea, ma anche i buoni rapporti instaurati con la popolazione civile ucraina, e poi ripercorrere il terribile ripiegamento nell’inverno russo verso la salvezza, costellato di tante battaglie di retroguardia, la più celebre delle quali si combatté in una città che legherà per sempre il suo nome al Corpo degli Alpini: Nikolajewka.
Hitler decise di invadere la Russia nell’estate del 1941. Le sue truppe invasero l’Unione Sovietica alle ore 3,15 del 22 giugno 1941, dando inizio all’ “Operazione Barbarossa”. Mussolini volle concorrere alle operazioni con l’invio nell’agosto 1941 di un Corpo d’Armata, che prese il nome di Corpo di Spedizione Italiano in Russia – C.S.I.R. Dopo un anno, il C.S.I.R. venne inglobato in una unità ancora più ampia, l’8^ Armata italiana, che comprendeva ben tre corpi d’Armata e, fra questi, il Corpo d’Armata Alpino al comando del Gen. Gabriele Nasci. Lo formavano tre divisioni Alpine: Cuneense, Julia e Tridentina. In un primo tempo dovevano essere inviate sui monti del Caucaso, ma a causa di un’offensiva sovietica che minacciava nell’estate del 1942 di travolgere il fronte tenuto dalle altre divisioni di fanteria italiane, furono dirottate lungo la linea difensiva del fiume Don. A nord del nuovo fronte sarà schierata la Tridentina (5° e 6° Reggimento Alpini), al suo fianco destro la Julia (8° e 9° Reggimento Alpini), e infine ancora più a sud la Cuneense (1° e 2° Reggimento Alpini). Tra la Tridentina e la Cuneense, sarà poi inserita a dicembre la Divisione di fanteria Vicenza, che prese il posto della Julia, inviata ancora più a sud come forza d’intervento per tamponare l’offensiva finale dell’esercito russo. La Julia sarà infine inquadrata nel XXIV Corpo d’Armata germanico, e seguirà in parte le sue sorti.
Il 16 dicembre 1942, inaspettatamente perché nel pieno del gelido inverno russo, le truppe sovietiche scatenano una nuova e decisiva offensiva, denominata “Piccolo Saturno”, contro il fronte italiano tenuto dal II Corpo d’Armata italiano a cui segue sul medio Don, il 15 gennaio 1943, una nuova offensiva sovietica, denominata “Operazione Ostrogozsk – Rossosch”, volta ad accerchiare da nord a sud il Corpo d’Armata Alpino. Le divisioni in linea hanno però l’ordine di tenere a qualsiasi costo la linea del Don, fino al 17 gennaio 1943 quando arriva al Gen. Nasci l’ordine di ripiegare.
Non poteva mancare durante questi tragici eventi, il valore degli Alpini di Marostica.
DIVISIONE JULIA. L’alpino Ovidio GUERRA, di Marostica, 9° Reggimento della Brigata Julia, riceverà la medaglia di bronzo al valoro militare alla memoria dopo aver combattuto il 21 gennaio 1943 a Novo Postojalny. Ad un altro alpino della Julia, Bortolo PIGATO è intitolato il GRUPPO ALPINI MARSAN.
DIVISIONE CUNEENSE.
La storia della Sezione A.N.A. di Marostica vanta tra i suoi alpini il nome di un ufficiale che ha attraversato due guerre mondiali, i teatri più difficili e tragici dei due conflitti, e che infine ha dato la vita per l’Italia: il Col. Luigi SCRIMIN. Abbiamo già visto la sua cattura sulle Melette del 1917.
Nel 1942, il Col. Luigi Scrimin ha un comando prestigioso, quello del 2° Reggimento della Divisione Cuneense, il “Dôi”, divisione di alpini piemontesi, Battaglioni Borgo San Dalmazzo, Dronero e Saluzzo. Il 2° Alpini ha già duramente combattuto sulle montagne al confine greco-albanese, e poi in Jugoslavia. Ora la Russia. Nella notte sul 24 dicembre, dopo aver tentato di far ripiegare gli alpini della Julia schierati più a sud, oltre il fiume Kalitva, i comandi russi decidono di attaccare anche la Cuneense. Contro la 23^ Compagnia del Saluzzo si scagliano cinque battaglioni sovietici, che però sono investiti da un nutrito fuoco di fucileria e mitragliatrici, che li costringe a ripiegare lasciando sul terreno morti e feriti. Ma anche il Saluzzo dovette lamentare la perdita di 200 alpini. Per questa battaglia, il Col. Scrimin venne decorato di medaglia d’argento al valor militare sul Fiume Don, il 23 dicembre 1942.
Arrivato l’ordine di ripiegamento, il Gen. Nasci deve prendere la terribile decisione di non attendere la Julia e la Cuneense e di iniziare il ripiegamento con la sola Divisione Tridentina.
Il 17 gennaio anche alla Cuneense arriva l’ordine di ritirata, mentre il Battaglione Dronero respinge i primi attacchi sovietici. 20 gennaio 1943 I russi intimano la resa, Battisti rifiuta e ordina al comandante del 2° Reggimento Alpini, colonnello Scrimin di mandare all’attacco il Borgo San Dalmazzo e il Saluzzo, i battaglioni si lanciano all’attacco nella neve alta e quasi stanno per farcela, ma da una dorsale posta tra due piccoli villaggi, si scatena un violentissimo fuoco d’artiglieria, i russi contrattaccano con enormi masse di fanteria appoggiate da numerosi carri armati. È la fine; del Saluzzo e del Borgo San Dalmazzo si salvano solo 120 alpini con pochi ufficiali, i due Battaglioni sono scomparsi con oltre 1600 morti.
All’alba del 24 gennaio 1943, Battisti raduna i comandi e chiede loro se ripiegare tutti assieme, lasciando ad ognuno la scelta di seguire la propria sorte. Saranno fatti tutti prigionieri, anche il Col. Scremin, come narra la relazione ufficiale: “il comandante del 2° alpini e due ufficiali superiori di tale reggimento dichiararono invece che preferivano tentare la sorte per proprio conto. Partiti subito con una slitta e direttisi su Sheliakino furono fatti prigionieri nella stessa giornata”.
Il Col. Luigi Scrimin non tornerà più dalla prigionia. Morirà di tifo nel campo di concentramento russo di Krinovojie, nella primavera del 1943.
A Luigi SCREMIN è intitolato il Gruppo VALLE SAN FLORIANO.
DIVISIONE TRIDENTINA. Di questa valorosa divisione, la divisione di Mario Rigoni Stern, rimangono i ricordi di Emilio Versetti raccolti in un libro pubblicato dal Gruppo di Pianezze nel 2010. Emilio non solo si fece la ritirata di Russia, ma fu anche fatto prigioniero e internato dai tedeschi e, come migliaia di altri italiani, ritornò a casa, a Pianezze, solo al termine della guerra. Per noi l’onore di avergli organizzato la festa dei 90 anni compiuti nel 2011.
DOPOGUERRA (1946-2013)
Finita la guerra, il ricordo degli Alpini di Marostica si concentra nelle difficili operazioni di soccorso, tra tutte ricordiamo il disastro della diga del Vajont, anno 1963, e il terremoto in Friuli, maggio 1976, quando si porranno le basi per quella che oggi è la Protezione Nazionale Civile alla quale gli Alpini danno un apporto determinante.
Per tutti gli Alpini di Marostica, oggi “aver fatto l’Alpino” vuol dire soprattutto “NAJA”.
E per alleggerire il ricordo, estrapoliamo alcuni rapportini inflitti agli Alpini di leva dai famigerati sergenti istruttori, tanto semplici quanto esilaranti nelle loro “punizioni”:
– Rientrava dal permesso alle ore 25, con ben un’ora di ritardo.
– Alquanto alticcio non stava fermo sugli Attenti, seguendo l’andare incerto della brezza.
– Alla richiesta del Sergente d’ispezione se era di marmitte o di corvée, rispondeva che era di vicino Brescia.
– Rideva in dialetto ad una battuta del suo diretto superiore.
– Di guardia in scuderia, dava da bere nel cestello il suo vino del refettorio alla sua mula, per consolarsi da una punizione ricevuta, rendendola alticcia e discinta.
Rammentando i festeggiamenti del 2013 per il 90° anniversario della Sezione A.N.A. Marostica a Malga Sorgazza, terminiamo ricordando la fondazione del nostro giornale sezionale, DAI FIDI TETTI. Dal numero unico del Dicembre 1979, che all’epoca venne considerato “ufficialmente il primo”, traiamo gli auguri per l’anno nuovo del nostro Presidente Luigi MENEGOTTO ai suoi Alpini di Marostica, parole ancora oggi di grande attualità:
“Il 1980 possa permettere agli italiani di riscoprire quei valori morali che l’attuale società sembra non riesca più a trovare: valori morali indispensabili ed insostituibili per garantire alla nostra amata ITALIA fraternità, amicizia, solidarietà, serenità e benessere”.
W GLI ALPINI DI MAROSTICA, W L’ITALIA